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Dipartimento Mamme sotto la lente: parla l’onorevole Titti Di Salvo

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Dipartimento Mamme: Titti Di Salvo ci racconta il nuovo Progetto del Pd. Dipartimento sì, Dipartimento no. Hanno parlato di dicitura forzata, di parola che sostanzia gli stessi stereotipi, insomma il Dipartimento Mamme, affidato dal Pd all’onorevole Titti Di Salvo, ha suscitato un grande dibattito.

Già, una vera e propria polemica, che a prima vista sembrerebbe puramente semantica, ma che invece nasconde tutte le problematiche ataviche di un Paese che non fa figli. A sgomberare l’orizzonte ci pensa proprio lei, l’onorevole Di Salvo, che in questa intervista rilasciata a noi di Winning Women Institute cerca di sbrogliare i nodi e le incomprensioni.

Tenendo come punto di partenza che l’Italia ha un problema all’intersezione tra donne, giovani e famiglie, come spiega tutto questo accanirsi sul Dipartimento Mamme?

Credo che in questo Paese si faccia fatica a portare avanti delle politiche per la famiglia e in particolare per le madri, perché si pensa subito a politiche reazionarie e ritornano in mente gli anni più bui della storia italiana. La preoccupazione è che parlare di mamme voglia dire costringere le donne ad una scelta obbligata. Quello che vogliamo fare, invece, è proprio rendere libera quella scelta.

A chi critica il Dipartimento Mamme, anche solo la dicitura, cosa vorrebbe rispondere?

Non credo che la parola “Mamme” sia offensiva, penso che questo Dipartimento abbia avuto il coraggio di dare un nome ad un problema. Poi il lavoro di questi anni, partito molto prima della nascita del Dipartimento, a mio avviso fuga qualsiasi dubbio su cosa vogliamo fare e come.

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Essere mamme è una condizione, mentre la maternità è un diritto. Il problema forse è allocare a politiche di sostegno alla famiglia solo l’1,1% del Pil (terzultimi in Europa, dopo Grecia e Lettonia).

Certo, il problema è rendere libera la scelta di maternità. Le statistiche dicono che il desiderio di maternità e paternità non coincide col numero di figli che effettivamente si hanno. Questo vuol dire che ci sono dei fattori che limitano questa scelta e hanno a che fare soprattutto col sostegno alle famiglie e in particolare alle donne, per cui la scelta di diventare madri troppo spesso vuol dire la rinuncia o una penalizzazione all’interno del mondo del lavoro.

Non le pare che le donne sul lavoro sono discriminate in quanto donne, a prescindere dall’essere mamme? Perché non chiamarlo “Dipartimento Donne”?

No, non mi pare. Se si guarda ai dati, risulta evidente il muro con cui la carriera lavorativa delle donne si scontra, è proprio la possibilità di diventare madri. La maternità è vista come un peso, soprattutto nelle piccole imprese. Quindi fra un uomo e una donna si sceglie un uomo. Quindi una donna quando diventa madre esce dal mondo del lavoro, fa fatica a rientrare, quando ci rimane rinuncia alla carriera ecc. Io credo che questo non riguardi solo le mamme, e nemmeno solo le donne, qui si parla della possibilità o meno di far ripartire un Paese come il nostro.

Il Dipartimento Mamme non è discriminante verso i padri?

Sono la prima firmataria, insieme alla Ministra Valeria Fedeli, della proposta che punta ad introdurre 15 giorni di congedo di paternità obbligatorio, retribuito al 100%. Questo perché la redistribuzione dei carichi di cura, soprattutto nei primi anni di vita del bambino, è un traguardo fondamentale sia per ragioni legate alla salute del bambino, sia per dare alle donne la possibilità di rimanere nel mondo del lavoro.

Siamo riusciti a portare il congedo di paternità obbligatorio da 1 a 5 giorni (di cui uno facoltativo), e puntiamo ai modelli del Nord Europa. Questo per dire che no, occuparsi delle madri non vuol dire escludere i padri.

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Allora perché non pensare a un dicastero delle famiglie? Dove lasciare spazio anche alle coppie di padri o madri che formano le famiglie plurali?

Certo, la presenza di un Dipartimento Mamme non esclude il nostro impegno sui temi più generali del sostegno alle famiglie. Penso ad esempio alla proposta di legge per rendere universali gli assegni familiari portata avanti dal collega Lepri al Senato. Il nostro concetto di famiglie mi sembra abbastanza chiaro, visto che è in questa legislatura che l’Italia ha finalmente approvato una norma di civiltà come quella delle Unioni Civili.

In questo contenitore più grande noi ci occupiamo di maternità e paternità, intesi come leve che possono far aumentare l’occupazione femminile e quindi la crescita del Paese (l’occupazione femminile ha un fattore moltiplicatore molto forte grazie all’aumento della domanda di servizi che comporta).

Sono anni che si ragiona sul concetto di genitori e di congedi parentali, come prevede la legge Turco. Così non si torna indietro?

Io credo che il fatto che finalmente un partito politico dedichi uno spazio a questa riflessione e ne faccia un elemento chiave della sua agenda politica sia un elemento di grande importanza. Vuol dire farsi carico del problema e non lasciare le soluzioni in mano alle destre, che tanto parlano di famiglia ma tanto poco hanno fatto negli anni di governo per le famiglie e per la libertà delle donne. Spesso dietro il politically correct si nasconde il vuoto delle idee e delle scelte.

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