I dati Istat sul lavoro femminile: c’è ancora tanto da fare per colmare il gap tra uomini e donne. Tasso di occupazione, tasso di inattività e lavoro in nero. Che il divario sia ancora una questione di genere nel nostro Paese, non è un segreto.
I dati Istat, fotografia di un’Italia che avanza con fatica
I dati Istat hanno fornito un quadro impietoso della nostra situazione lavorativa. Dalle ultime rilevazioni riguardanti gli occupati e i disoccupati emerge infatti una differenza piuttosto marcata per tutti i principali indicatori.
Tasso di occupazione e disoccupazione
Basta guardare al tasso di occupazione, per esempio. Mentre a livello nazionale l’indice si attesta al 57,7%, per i maschi sale al 66,9%, mentre per le femmine scende al 48,5%. Di fatto sono 13,3 milioni gli occupati di sesso maschile contro i 9,5 milioni del genere opposto. Una dinamica simile interessa anche il tasso di disoccupazione. Il 10,6% rilevato per gli uomini viene contrastato dal 12,4% delle donne, bilanciando negativamente il dato nazionale e portando il tasso di disoccupazione del Paese all’11,3%.
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Il tasso di inattività
Ancora più preoccupante il divario che emerge dal tasso di inattività (che contempla chi non partecipa al mercato del lavoro, non cercando attivamente un’occupazione). In questo caso, al 34,8% medio registrato dall’Istat, si scende al 25% per il tasso di inattività maschile, ma si sale al 44,6% per quello femminile.
Le donne inattive sono 8,6 milioni, un numero molto simile a quello delle donne che un’occupazione ce l’hanno. Da un focus redatto dall’Istituto di statistica è però emerso che, non per forza, se un individuo non risulta occupato vuol dire che non lavori.
Il lavoro non retribuito
Lasciando fuori dal discorso il lavoro in nero, secondo l’Istat nel 2014 (ultimo anno disponibile per questa tipologia di dati) donne e uomini hanno svolto oltre 71,3 miliardi di ore di lavoro non retribuito per attività domestiche, cura di bambini, adulti e anziani della famiglia, volontariato, aiuti informali e per gli spostamenti legati allo svolgimento di tali attività, contro le 41,7 miliardi di ore di lavoro retribuito.
Il 71% delle ore di lavoro non retribuito, pari quindi a 50,6 miliardi, è stato svolto da donne e in quasi la metà dei casi (20,3 milioni di ore) da casalinghe (13,7 miliardi le ore di lavoro delle occupate). Ciò, sebbene le donne istruite siano sensibilmente maggiori degli uomini.
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Lavoro domestico femminile
Un dato, almeno in parte, incoraggiante è quello relativo all’asimmetria tra il lavoro svolto da entrambi i partner in una coppia. Nel 2014 nelle coppie in cui la donna (di 25-44 anni) è casalinga e l’uomo lavora, la donna svolgeva l’80,3% delle faccende domestiche svolte da entrambi i partner (contro il 67,3% delle coppie in cui lavorano entrambi i partner). Un dato ancora piuttosto elevato, ma in costante diminuzione dal 1989, quando si attestava all’89,6%.
Presenza femminile negli uffici
Eppure, risulta positiva la relazione tra presenza femminile e business. Migliori le performance con una maggior rappresentanza femminile ai vertici delle aziende. Lo testimonia lo studio McKinsey-Cerved in cui si racconta come un ambiente eterogeneo per genere sembra essere più fertile rispetto a uno in cui la diversità sia di età oppure di nazionalità. Per concludere, si è stimato che se la partecipazione femminile si allineasse entro il 2030 a quella maschile (74,7%), il Pil pro-capite aumenterebbe di circa 1% annuo.
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