Salvatore Lattanzio ha sbaragliato 46 candidature arrivate da tutta Italia. Ragazzi e ragazze in gara per le migliori dieci tesi per il Premio Valeria Solesin.
Salvatore Lattanzio è il vincitore, l’unico maschio tra tante “colleghe” studentesse che però hanno fatto il pieno conquistando gli altri nove riconoscimenti. Venticinque anni e un primo premio portato a casa grazie a una tesi sui divari salariali tra uomini e donne.
Il concorso è dedicato alla ricercatrice rimasta tragicamente vittima dell’attentato al Bataclan a Parigi ed è promosso dal Forum della Meritocrazia e da Allianz Global Assistance. Questa edizione ha assegnato stage e borse di studio per più di 40 mila euro alle migliori tesi universitarie sul tema della parità di genere. E ha l’obiettivo di valorizzare i lavori che mettono a fuoco sia i fattori che ostacolano la maggiore presenza femminile nel mercato del lavoro in Italia, sia le buone pratiche di conciliazione introdotte da aziende e istituzioni.
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Salvatore Lattanzio, può raccontarci della sua tesi?
L’idea è quella di misurare l’impatto delle politiche salariali delle imprese sul gap di genere. Identificando una parte dovuta alla segregazione delle donne in imprese che adottano politiche meno generose e una parte dovuta a un minor potere delle donne nella negoziazione all’interno dell’impresa rispetto agli uomini. La metodologia consiste nello stimare degli effetti fissi di impresa, separatamente per uomini e donne, in una regressione in cui la variabile dipendente è costituita dal salario settimanale. Dal confronto degli effetti fissi “maschili” e “femminili” ricavo le due componenti di segmentazione e potere negoziale.
Ha esaminato un campione di 2,6 milioni di dati, tantissimi. Che risultati ha ottenuto?
Il risultato, in breve, è che se queste “politiche” fossero uguali per uomini e donne il gender wage gap diminuirebbe all’incirca del 30%. Il 20% dovuto alla segregazione, il 10% dovuto al potere di negoziazione. L’orizzonte temporale in considerazione va dal 1991 al 2012 e il campione di imprese sotto esame proviene dal settore privato italiano.
Lei è un ex bocconiano ora dottorando a Cambridge,. Quali differenze di genere ha notato nel mondo accademico italiano e inglese?
Differenze di genere, intese come discriminazione, non ne ho mai notate. Da studente in Bocconi ho visto donne eccellere in tutte le materie. Tuttavia, nei corsi più quantitativi capita spesso di trovare una percentuale superiore di uomini. La classica contraddizione: le donne spesso ottengono risultati migliori nelle materie scientifiche, ma tendono a non sceglierle. A Cambridge, il corso di Economia è molto quantitativo e molto orientato alla ricerca. Perciò il numero di uomini che fanno domanda di ammissione tende a essere maggiore del numero di donne.
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Questo interesse sulla questione di genere, meglio dire sulle Pari Opportunità, da cosa è nato?
Ho seguito il corso di Public Economics di Alessandra Casarico durante la specialistica in Bocconi. La disuguaglianza di genere, non solo nel mercato del lavoro, ma anche in politica, è uno dei temi principali trattati nel corso. Ho iniziato a interessarmi a quest’area di ricerca e ho realizzato che c’era ancora molto da dire, soprattutto sul caso italiano. Il fatto di avere a disposizione un ricco dataset di partenza, fornito dall’INPS, mi ha aiutato nello sviluppo della tesi.
Molti dichiarano che le quote rosa, gli apporti anche di legge per colmare il gap sono delle forzature anacronistiche. Cosa ne pensa?
E’ una critica che spesso viene rivolta a questo tipo di policy, che favorirebbero la cosiddetta “reverse discrimination”. Io credo che riequilibrare una situazione di evidente disparità (penso ai board manageriali delle imprese o alle liste elettorali) sia un segno positivo. Così come dare voce alle istanze di una componente decisamente sotto-rappresentata nelle posizioni di vertice. Anche altri tipi di policy possono essere implementati per favorire una maggiore presenza delle donne nel lavoro. Per esempio, una estensione del congedo di paternità o una maggiore flessibilità in termini di orario lavorativo.
Cosa pensa del coinvolgimento degli uomini in questa battaglia?
E’ fondamentale. Perché lo stereotipo della donna che svolge il lavoro casalingo non remunerato può essere abbattuto solo se ci convinciamo del fatto che lo stereotipo dell’uomo lavoratore e “bread-winner” non funziona più.