Pay gap: le donne sono pagate in meno degli uomini e anche le loro pensioni sono inferiori rispetto a quelle maschili. In generale, in Italia, le lavoratrici sono più istruite, più preparate, ma meno retribuite.
Un divario che riguarda pure le pensioni. A percepire una pensione inferiore ai 1.000 euro sono per lo più le donne (50,5% contro il 31% degli uomini). Un fossato di differenze che arriva fino a Piazza Affari, dove le donne guadagnano la metà dei manager uomini. La posizione di amministratore delegato è ricoperta nell’88,8% dei casi da uomini e nell’11,2% da donne; alla presidenza il 90,2% sono uomini.
Il pay gap nelle aziende: le ragioni al di là dei numeri
Guardando poi alle remunerazioni (totale di fisso e variabile), se in media il consigliere delegato uomo incassa 899 mila euro, quando Ceo è donna il compenso scende a 439 mila euro. E un consigliere uomo incassa 82.700 euro mentre donna 61.200. Nonostante questi dati, Eurostat dice che in Italia la forbice nel salario di uomini e donne è del 6,1%, una situazione rosea da terzo posto assoluto in Europa. E allora cosa non quadra in questi numeri? Secondo Linda Laura Sabbadini, studiosa di statistica sociale, siamo davanti a una visione distorta. Noi siamo il Paese in Europa dove le differenze salariali tra uomo e donne sono in percentuale tra le più basse (6%). Ma c’è un trucco. Noi abbiamo una media alta di retribuzione delle donne solo perché le donne che hanno un basso titolo di studio non sono entrate nel mercato del lavoro. Quindi con quell’indicatore noi diamo un quadro sbagliato. Non reale. Una realtà distorta, appunto.
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Il Super Minimo, grande responsabile del pay gap
Molti ancora oggi pensano che le imprese non tendano a discriminare le donne perché sono obbligate dalla legge e dai contratti collettivi a pagare lo stesso salario a donne e uomini che svolgono la stessa mansione. Ma c’è un escamotage: si chiama “super minimo”. E succede nelle grandi aziende che il “super minimo”, che è discrezionale, viene dato soprattutto agli uomini. Più alto è il ruolo ricoperto, più grosso è il divario. Nelle retribuzioni più alte il divario arriva al 17% in meno degli uomini.
Eppure è un vecchio problema, ancora irrisolto. Risale al 1975 la direttiva sulla parità retributiva tra uomini e donne della Comunità Europea. A oltre quarant’anni di distanza dall’introduzione dei primi provvedimenti legislativi per la parità di stipendio, il differenziale salariale per sesso (gender pay gap) rimane un aspetto cruciale che le donne si trovano a dover affrontare nel mercato del lavoro.
E anche per questo che la differenza salariale di genere, testimoniata da diversi studi a livello internazionale, è entrata a pieno titolo nelle agende di lavoro di tanti Stati, dopo che l’Unione Europea da anni ha posto l’accento sul tema. Tanto da creare un progetto ad hoc per sensibilizzare i Paesi membri. In Gran Bretagna, per esempio, le grandi aziende sono obbligate a pubblicare i dati sul differenziale di genere nei salari e nei bonus dei loro dipendenti. Una legge simile potrebbe essere utile anche in Italia, per evidenziare un problema persistente nel tempo.
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Cosa dice la legge in Italia?
E l’Italia? Sembra sconosciuta ai più, ma anche da noi esiste una normativa. Si tratta dell‘articolo 46 del Decreto Legislativo 11 aprile 2006 n. 198 (ex art. 9 L. 125/91). Modificato dal D. Legislativo 25 gennaio 2010 n. 5 in attuazione della direttiva 2006/54/CE relativa al principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione.
Cosa prevede? “Le aziende pubbliche e private che occupano oltre cento dipendenti sono tenute a redigere un rapporto almeno ogni due anni sulla situazione del personale maschile e femminile in ognuna delle professioni e in relazione allo stato di assunzioni, della formazione, della promozione professionale, dei livelli, dei passaggi di categoria o di qualifica, di altri fenomeni di mobilità, dell’intervento della Cassa integrazione guadagni, dei licenziamenti, dei prepensionamenti e pensionamenti, della retribuzione effettivamente corrisposta”.
Secondo un’inchiesta del Sole 24 Ore, il termine per presentare gli ultimi rapporti sulla situazione del personale risulta scaduto il 30 aprile 2016. I dati ad oggi non pervenuti.
Per un’ulteriore approfondimento sul pay gap: Commissione Europea-Divario salariale tra donne e uomini
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