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Quote rosa: è record nei CdA grazie alla legge sulle quote di genere!

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Posti rosa, salita vertiginosa di donne nei CdA grazie alla legge sulle quote rosa! Un traguardo storico, impensabile. Alla faccia di tutti quelli che pensano che le disuguaglianze di genere non si combattano anche con le imposizioni di legge.

“In cinque anni dalla legge sulle quote rosa abbiamo raggiunto e superato quello che sembrava un traguardo impossibile. Siamo al 33,5% nei Cda delle società quotate, addirittura al 40,2% nei collegi sindacali. Negli organi di amministrazione e controllo delle società controllate siamo passati dal 18,3% al 30,9%. L’Italia oggi non è più fanalino di coda, è accanto a Francia, Svezia e Finlandia. E tra gli unici Paese europei ad aver superato il tetto del 30% di donne nei Cda delle grandi aziende”.

La parola a Lella Golfo

Ad affermarlo è la presidente della Fondazione Marisa Bellisario, Lella Golfo, nel corso del convegno Donne ai vertici, tra norme e mercato” . Sono stati presentati i dati del Cerved (primario operatore in Italia nell’analisi del rischio del credito). Nel 2017, per la prima volta, più di un terzo del totale dei membri dei CdA sono donne. La rappresentanza femminile è cresciuta grazie all’introduzione della legge sulle quote rosa del 2011. Le società italiane quotate devono riservare al genere meno rappresentato almeno un terzo degli amministratori e dei componenti del collegio sindacale.

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L’evoluzione dei CdA con le quote rosa

Al primo rinnovo, la soglia minima deve essere di un quinto e la norma si applica per tre mandati consecutivi (fino al 2023). Sono 162 (70%) le società quotate che ottemperano l’obbligo, tuttavia solo in 26 (11%) il numero supera di almeno un’unità il minimo richiesto. Infatti, a fine 2017, sono 751 le donne che siedono nei CdA delle 227 società quotate alla Borsa di Milano, pari al 33,5% dei 2.244 membri dei board. Si tratta di un aumento del 9,3% sul 2016 e di un numero quattro volte superiore a quello del 2011. In particolare, la legge 120 del 2011 ha individuato come destinatarie di queste norme le società quotate e a partecipazione pubblica, sperando che venissero successivamente imitate anche dalle imprese esentate da vincoli.

Più in dettaglio, in 3 imprese i board sono completamente maschili, in 2 la quota è inferiore alla soglia del 20% prevista dal primo mandato e in 60 le donne rappresentano quote rosa comprese tra il 20 e il 33%. La presenza femminile risulta proporzionalmente più alta all’interno dei Collegi sindacali: sono donne 489 dei 1.215 sindaci (40,2%) .

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Secondo i dati Cerved, le donne crescono sia nelle società con amministratore unico (da 10,9 a 12,2% tra il 2012 e il 2017) sia in quelle che hanno un board collegiale (da 15,2 a 17,4%). “I presidenti e amministratori delegati di aziende come Intesa Sp, Unicredit, Enel, Terna, Generali, Mediolanum, Ansaldo, Snai, Juventus, Bialetti, Saras ci hanno ringraziato per i benefici che l’ingresso delle donne hanno portato nei loro board”, sottolinea ancora la Golfo.

I ruoli esecutivi ancora maschili

“Ma non è tutto rosa e fiori. Per esempio, le donne in ruoli esecutivi restano poche, troppo poche. E l’effetto di contagio sul settore privato è stato debole, i passi avanti più lenti. Ma era difficile aspettarsi effetti a cascata in così pochi anni. Piuttosto, – aggiunge Lella Mosca – abbiamo aperto un varco. Non solo nei board. Nel management, negli ultimi 5 anni le donne dirigenti sono cresciute del 20%. Da lì dobbiamo partire per creare la classe dirigente femminile di domani”.

La parità di genere conviene

Uno studio dell’Istituto Europeo per l’Uguglianza, rileva la presidente della Fondazione Bellisario, “ha analizzato i vantaggi economici della parità di genere nei settori più strategici, da qui al 2050. Per esempio, la parità porterebbe in dote fino a 10,5 milioni di posti di lavoro. E un aumento del Pil pro capite della Ue fino al 9,6%, oltre 3 mila miliardi di euro”. E questo significa “che le donne rappresentano una risorsa preziosa. Una risorsa cui l’Italia, l’Europa, il mondo non possono più fare a meno. In Italia, il tasso di occupazione femminile si ferma al 48,6% con punte del 59,7% in Lombardia e di un avvilente 29,4% in Calabria. E una donna su tre lascia il lavoro all’arrivo del primo figlio. Eppure, tutte le statistiche dimostrano che avere più donne al lavoro non è soltanto giusto ma conviene”.

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La legge Golfo-Mosca, rileva il commissario della Consob Anna Genovese, “ha dimostrato che i collegi eterogenei servono e producono risultati”. In questi anni, rileva, “solo due volte la Consob ha dovuto diffidare due società che non rispettavano la legge chiedendo a loro di operarsi. Hanno prontamente corretto il loro comportamento”.

Nel mondo finanziario

Nel mondo finanziario, cioè quello di banche, società finanziarie e assicurazioni, spiega il Dg della Banca d’Italia e presidente dell’Ivass, Salvatore Rossi, “i numeri sono più bassi”. Quello che si osserva, però, “è che nei casi in cui ci sono più giovani il numero delle donne coinvolte nei Cda è più elevato. Peccato che ci sia un generale trend di innalzamento dell’età”. Quello che è chiaro, spiega Rossi, “è che noi vogliamo più donne al comando nei cda, nei collegi sindacali, nei ruoli di presidente e di Ceo. Non solo perché è giusto ma anche perché è preferibile. Dove c’è varietà si migliorano le performance. E poi, “serve una buona dosa di amore per il rischio, ma eccesso di rischio può fare disastri come lo abbiamo visto con la crisi finanziaria. C’è una vastissima letteratura che spiega che le donne sono più avverse al rischio. Non per paura ma per calcolo. I maschi, invece, hanno una tendenza a ‘entrare nel loup’ col rischio di prendere decisioni sbagliate”.

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